RUBRICA A CURA DEL DOTT. LUCA MAZZUCCHELLI, VICE PRESIDENTE DELL’ORDINE DEGLI PSICOLOGI DELLA LOMBARDIA, DIRETTORE DELLA RIVISTA “PSICOLOGIA CONTEMPORANEA, FONDATORE DEL CANALE YOUTUBE “PARLIAMO DI PSICOLOGIA”.

Quanti tipi di famiglie esistono? Tante. E, a testimonianza di ciò, sempre più spesso nel linguaggio comune il termine famiglia è affiancato da un aggettivo che ne qualifica la natura: famiglia nucleare, famiglia ricostituita, famiglia monoparentale, e così via. All’interno di questa pluralità di forme che punteggiano la nostra società, ogni famiglia porta con sé delle caratteristiche, delle sfide e delle risorse specifiche.

Oggi parliamo di famiglia ricostituita (o “ricomposta”, “multinucleare”, “step family” o anche “allargata”): questo termine descrive un nuovo nucleo familiare formato da due partner, almeno uno dei quali ha avuto altri figli in una relazione precedente. Questo tipo di famiglie sono cresciute moltissimo negli ultimi anni, benché non siano certo una novità. In passato si costituivano in seguito alla morte di un coniuge; oggi si creano anche in conseguenza a separazioni e divorzi.

Ciò ha condotto alla nascita di una nuova struttura familiare, in cui non vi è la “scomparsa” di un genitore, bensì l’aggiunta di una figura ulteriore, frequentemente definita nella letteratura specifica come “terzo genitore”.

Una struttura, dunque, più complessa, soprattutto se entrambi i partner portano con sé i figli avuti da precedenti relazioni, se la nuova coppia concepisce poi altri figli, oppure nel caso in cui l’ex compagno/o ha a sua volta una nuova famiglia e ulteriori figli. Secondo i dati Istat, le famiglie ricostituite sono passate dal 17% circa nel 1998 al 28% circa alla fine del primo decennio del 2000.

Nel 10% circa di queste famiglie vivono i figli solo di uno dei due partner, nel 38% circa i figli di entrambi i partner e nel 13% i figli nati sia all’interno della nuova relazione sia in quelle pregresse.

In questo articolo, vediamo 4 spunti psicologici essenziali da tenere a mente per orientarsi nel mondo delle famiglie ricostituite: cosa è possibile fare e cosa dovrebbe essere evitato (l’argomento è davvero vasto, e l’obiettivo non è fornire indicazioni esaustive ma offrire alcune riflessioni utili).

Parole d’ordine: tempo, gradualità e pazienza

La costruzione di una “nuova famiglia” non è qualcosa di immediato, né può basarsi solamente sul desiderio dei due adulti che hanno preso la decisione di costituirla. È un processo che richiede tempo e adattamenti reciproci.

Ogni componente deve “riposizionarsi” all’interno della nuova realtà: i figli devono imparare a coniugare il rapporto con il genitore con il quale vivono con quello con il genitore non convivente (single o con famiglia); il nuovo partner deve imparare a relazionarsi con i figli dell’altro e questi ultimi con lui; le relazioni con eventuali fratelli e parenti acquisiti devono essere sviluppate, quella con i parenti della prima famiglia mantenute.

La prima e più importante indicazione è quindi quella di muoversi con prudenza, per piccoli passi e mettendo in conto la necessità di un tempo più o meno lungo di adattamento. Le caratteristiche di cui armarsi sono dunque pazienza, comprensione, tolleranza, sensibilità e diplomazia.

La qualità del rapporto con l’ex partner

La possibilità da parte dei figli di riposizionarsi in maniera positiva in una nuova dimensione famigliare dipende innanzitutto da come i genitori effettivi hanno gestito la loro separazione. Quanto più i genitori, pur separati, sono stati capaci di mantenere rapporti rispettosi e improntati alla collaborazione, tanto più i figli avranno a disposizioni sicurezze emotive per ingaggiarsi in un processo di costituzione di una nuova dimensione di famiglia allargata.

Al contrario, quanto più tra i genitori esistono rancori, ritorsioni, conflittualità accese, tanto meno vi sarà la possibilità di un’integrazione positiva in un nuovo tessuto familiare, con i nuovi partner (di un genitore, dell’altro o di entrambi) che diverranno i “parafulmini” dei vissuti dolorosi dei figli.

Seppur non costituiscono più una coppia in senso amoroso, infatti, gli ex partner rimangono uniti nel loro ruolo genitoriale: vale la pena dunque, dove possibile, lavorare per dare al rapporto una dimensione se non costruttiva, almeno civile e sufficientemente distesa (anche, nei casi più faticosi, richiedendo l’aiuto di un professionista!).

La costruzione del rapporto tra i figli e il “terzo genitore”

Sembra scontato, ma è bene sottolinearlo: il nuovo partner che entra a far parte di un contesto dove ci sono già dei figli non dovrebbe mai imporsi come “genitore sostitutivo”, né ostacolare i contatti con il genitore o i parenti della prima famiglia. È anzi necessario chiarire ai figli che non si richiede loro l’abbandono del genitore e che il nuovo partner non lo sostituisce. Sono i genitori che si occupano principalmente della crescita dei loro figli: il rapporto dei figli con il genitore non convivente deve essere mantenuto, tutelato e aiutato a progredire.

Come può il nuovo partner comportarsi con i figli dell’altro?

Empatia

Innanzitutto il nuovo partner deve essere empatico: deve mettersi nei panni dei bambini o dei ragazzi, cercando di capire cosa stanno passando e rispettandone le emozioni. Anche nelle situazioni in cui i rapporti con l’altro genitore sono positivi, i figli possono sperimentano vissuti di ambivalenza nei confronti di una nuova figura che fa il suo ingresso in famiglia.

Alcuni si sentono in colpa nel dare confidenza al nuovo partner del padre o della madre perché ciò potrebbe voler dire “tradire” l’altro genitore, soprattutto nei casi in cui quest’ultimo è solo e magari viene percepito come più debole e fragile. In altre situazioni può esserci una reticenza ad affezionarsi a nuove figure, per paura che il rapporto possa nuovamente esitare in una separazione.

Pazienza e autenticità

Quanto appena detto ci porta immediatamente ad altre due caratteristiche che devono contraddistinguere il comportamento del nuovo partner, ossia la pazienza e l’autenticità. Autenticità nel senso di evitare di ostentare troppo amore o trasporto immediato nei confronti dei figli dell’altro: i rapporti si costruiscono sulla base della fiducia, che necessita di tempo.

Pazienza nel senso di non imporre un ruolo specifico nei confronti dei figli del partner ma di aspettare che siano, con il tempo, ragazzi a definire il ruolo che desiderano attribuire alla nuova figura: quello di un altro adulto di riferimento, di un amico/a, “solo” di compagno della mamma o di compagna del papà, oppure di un altro genitore.

Una buona strategia iniziale è cercare un punto di contatto con i ragazzi sulla base di un’attività o di un interesse comune, come un hobby, uno sport, la musica o lo shopping, e lasciare che da lì il rapporto si evolva in modo graduale e naturale.

Diplomazia

Coerentemente con quanto detto sopra, il nuovo partner dovrebbe esimersi dallo schierarsi in maniera diretta durante i conflitti tra genitore e figlio su questioni educative, evitando di assumere un ruolo giudicante e anzi reagendo sempre con estrema diplomazia. Dell’educazione dei figli e dei principali aspetti della loro crescita dovrebbero continuare ad occuparsi i genitori effettivi, pena il sentirsi dire la fatidica frase “tu non sei mio padre/mia madre!” (eventualità comunque molto frequente che è necessario aspettarsi e mettere in conto). Per quanto non abbia un ruolo preponderante nell’educazione dei figli del partner, il nuovo compagno assumere una funzione importante (e che va rispettata) per quanto riguarda le regole condivise all’interno del nuovo nucleo familiare che via via si viene a formare.

I nuovi rapporti tra fratelli acquisiti

Un occhio di riguardo è da destinare anche alle nuove relazioni tra fratelli che si vengono a formare nel caso ci siano più figli nati da relazioni precedenti. Entrare in un nuovo rapporto fraterno non è qualcosa di immediato, ma un processo che necessita di adattamento. Alcuni equilibri consolidati possono essere messi in discussione e dar luogo a conflitti e gelosie: ad esempio, un primogenito può sentirsi scavalcato da un altro primogenito, il “piccolo di casa” da un figlio del partner ancora più piccolo, oppure ancora, dall’arrivo di un fratellino o di una sorellina “comune”. (La gelosia può essere ancora maggiore nei casi di bambini che vivono abitualmente in un’altra casa e si trovano a trascorrere solo i weekend in una famiglia ricomposta in cui altri bambini vivono in pianta stabile). In questo senso, una prima strategia utile è ritagliarsi degli spazi esclusivi da vivere da soli con i propri figli, senza la presenza del “nuovo” partner, dei fratelli acquisiti o di eventuali figli nati dalla nuova unione. Questo rassicura i bambini del fatto di essere amati alla stregua di prima, e di non essere stati “sostituiti”. Un’altra strategia è organizzare dei momenti ad hoc in cui partecipano tutti i membri della famiglia allargata, durante i quali viene stimolata l’espressione di vissuti e paure da parte di ognuno dei figli e in cui il nuovo nucleo, tra aggiustamenti reciproci, va in cerca di soluzioni dinamiche e condivise.

Con i suoi molteplici ruoli in gioco, i confini non immediatamente definiti, e le dinamiche in continuo divenire, la famiglia ricostituita rappresenta una forma familiare certamente non semplice, ma contemporaneamente, nel momento in cui raggiunge un buon equilibrio, un contesto unico per ricchezza dal punto di vista emotivo per i membri che la “abitano”.

Bibliografia

Oliverio Ferraris (2016). Il terzo genitore. Vivere con i figli dell’altro. Ed. Raffaello Cortina.