RUBRICA A CURA DEL DOTT. LUCA MAZZUCCHELLI, VICE PRESIDENTE DELL’ORDINE DEGLI PSICOLOGI DELLA LOMBARDIA, DIRETTORE DELLA RIVISTA “PSICOLOGIA CONTEMPORANEA, FONDATORE DEL CANALE YOUTUBE “PARLIAMO DI PSICOLOGIA”.

 

Il ruolo del genitore è tra i più difficili che esista; quello di genitore di un bambino con disabilità (fisica, psichica o entrambe) è ancora più arduo. Con la nascita di un figlio con disabilità, infatti, inizia per la famiglia in questione una complessa fase di “adattamento”, dove ai compiti di sviluppo e ai problemi che ogni nucleo incontra nell’arco del proprio ciclo di vita, se ne aggiungono altri specifici.

L’argomento è molto ricco e questo contributo non si pone in alcun modo la pretesa di esaurirlo; piuttosto, ho raccolto 5 spunti psicologici con fondamento scientifico e, contemporaneamente, con potenziali risvolti pratici che i genitori di bambini con disabilità possono tenere a mente e provare a utilizzare nella loro quotidianità. Eccoli!

Non perdete di vista la vostra identità

Molti genitori di bambini con disabilità ritengono che il loro dovere sia quello di pensare al proprio figlio e di smettere completamente di pensare a se stessi. L’impegno 24 ore su 24 appare “doveroso”, nonostante la stanchezza a volte estrema. Se da una parte l’assunzione di questo comportamento è comprensibile (oltre che lodevole), dall’altra può avere effetti molto seri sulla salute fisica e psicologica del genitore stesso. Una recente ricerca (Song et al., 2016) ha mostrato che le mamme di figli con disabilità tendevano ad andare incontro nel tempo, rispetto alle altre mamme, ad un maggior declino cognitivo (soprattutto nella memoria), nonché a riportare un minor livello di salute fisica generale.

Tale declino non si verifica tuttavia in quelle mamme di figli con disabilità che possono contare sul sostegno di altre persone, cosa che permette loro di condividere l’impegno delle cure e mantenere spazi identitari propri.

Il primo consiglio per i genitori è dunque questo: non perdete di vista la vostra identità. Anche se per poco tempo, con difficoltà e anche se dovete chiedere aiuto, nutrite anche quello che siete: non rinunciateci in partenza, ma impegnatevi per ritagliavi dei momenti solo per voi, per cercare di appagare i vostri desideri personali e creare momenti piacevoli di coppia.

Confrontatevi e costruite una rete

Il secondo consiglio è quello di non chiudervi in voi stessi o nel vostro nucleo, ma al contrario di aprirvi e di creare attorno a voi una rete. Essere genitori di un figlio con disabilità può mettere a rischio di isolamento o auto-isolamento per diversi motivi. È necessario dunque lavorare nella direzione opposta: oltre a ricercare aiuto professionistico, chiedete aiuto a familiari e amici, confrontatevi con chi sta affrontando la vostra stessa sfida, cercate opportunità sociali nella vostra comunità o online.

Il confronto e la condivisione con altri genitori o persone che stanno vivendo situazioni simili potrà farvi sentire meno soli, fornirvi consigli e generare scambi di opinioni che possono essere strumento per un valido sostegno emotivo (oltre che pratico) (Sorrentino, 2006).

Questo passo è davvero fondamentale: dalle testimonianze e dagli scritti autobiografici di coloro che vivono questa realtà emerge spessissimo che l’entrare a far parte di associazioni, gruppi, comunità con altri genitori che sperimentano situazioni simili (e spesso anche impegnarsi in prima persona a portare avanti tali realtà) è davvero l’elemento che fa la differenza nel vissuto emotivo dei genitori di figli con disabilità.

Ogni tanto spostate il focus: dai fattori di stress alle strategia di gestione

La ricerca dimostra che quando si passa dal considerare lo stress che caratterizza una famiglia con un figlio con disabilità, al considerare le strategie di gestione dello stress messe in campo dai suoi membri, è possibile attivare le risorse dei genitori e modificare in maniera significativa la loro prospettiva (Wilgosh, 2005).

Avere un figlio con disabilità, infatti, se da una parte genera delle fatiche innegabili, dall’altra può dare vita a trasformazioni personali nei genitori o nella coppia in senso evolutivo, nonché a trovare efficaci e rare strategie di gestione della vita famigliare.

Ecco dunque il terzo consiglio: ogni tanto passate dal chiedervi “quali fatiche devo affrontare oggi?”, al chiedervi “come ho gestito questa situazione?”, “cosa mi ha aiutato a superare quell’evento?”, passando quindi dallo stress alle risorse per superarlo. Questa riflessione vi consentirà di cominciare a pensarvi in termini di capacità e risorse che prima non pensavate minimamente di avere. Ogni tanto, dunque, fermatevi e concedetevi questo piccolo esercizio.

[A proposito delle risorse insite nelle famiglie con bambini con disabilità, la ricerca mostra anche che in tali nuclei le relazioni possono essere migliori e più profonde rispetto alle famiglie che hanno un figlio sano. In queste ultime, infatti, il dolore è qualcosa che solitamente spaventa e da cui ci si difende; al contrario, nelle famiglie con figli con disabilità, la condivisione del dolore “unisce” e conduce ad un aumento dell’intimità (Maino, 2005). Coerentemente, le coppie con figli con disabilità hanno anche una maggior tendenza a valorizzare le qualità del partner piuttosto che concentrarsi sui suoi limiti].

Abbiate aspettative realistiche sui vostri figli: non spropositate ma nemmeno troppo contenute

Talvolta alcuni genitori reagiscono alla disabilità del proprio bambino tramite meccanismi di negazione: da una parte riconoscono le difficoltà del figlio, dall’altra (sovente inconsapevolmente) si aspettano che i piccoli raggiungano gli stessi risultati degli altri bambini e lo facciano nella stessa identica modalità. Questo atteggiamento può essere molto svantaggioso per un bambino con disabilità che, al contrario, necessita che quanto deve affrontare sia declinato sulla base delle sue specificità.

In altre famiglie c’è la tendenza opposta: in considerazione della disabilità, le aspettative nei confronti del figlio vengono settate al minimo. Gli stessi bambini e ragazzi (soprattutto nel caso di disabilità fisica) possono assumere un atteggiamento di disinvestimento ad ampio raggio (“non riesco perché sono disabile”). Ma se la disabilità può essere molto limitante, essa non impedisce tutto.

Insomma, cari genitori: ponete sui vostri figli aspettative realistiche, non impossibili ma nemmeno troppo contenute. Dopo avere considerato le loro effettive capacità, date obiettivi che, con impegno, possano raggiungere. Spiegate con esempi concreti ciascun passaggio (senza sostituirvi a loro!), stabilite piccoli traguardi, e soprattutto incoraggiate a non demordere.

A questo proposito, uno studio recente ha mostrato che uno stile genitoriale definito “positivo” o “autorevole” (dove il bambino viene lasciato agire secondo i suoi modi e tempi ma allo stesso si fissano regole e obiettivi realistici e si stabilisce una modalità disciplinata per raggiungerli) è quello di gran lunga più vantaggioso in termini di acquisizione di autonomie rispetto ad uno stile permissivo oppure autoritario (Dyches et al., 2012).

E “dopo di noi”?

Un articolo che parla ai genitori con figli con disabilità non è tale se almeno non sfiora il tema del “dopo di noi”, espressione utilizzata dai genitori stessi per esprimere un forte timore verso il futuro: “Come faranno i nostri figli quando non ci saremo più? Chi si prenderà cura di loro?”. Una preoccupazione complessa e importante, spesso messa a tacere per molto tempo e che emerge prepotentemente quando i genitori sono ormai anziani.

Un’indagine Anffas del 2010 ha mostrato come il 48% degli intervistati non avesse ancora idee chiare in merito alla soluzione da adottare per il futuro della persona con disabilità. In questo contesto, l’inserimento nei servizi e la creazione della rete di cui parlavamo all’inizio diviene quanto mai fondamentale: la rete, l’istituzione, la società rappresenta l’elemento permanente, eterno, rispetto alla condizione di finitezza che caratterizza la vita di tutti i genitori.

Psicologicamente, solo un elemento che sia appunto eterno, perché non formato da uomini, che nascono e muoiono, ma posto a livello della comunità, può ridurre un po’ l’angoscia dei genitori su “quello che verrà”. In tale direzione, a giugno 2016 è stata approvata la legge “dopo di noi” che stabilisce creazione di un fondo per l’assistenza e il sostegno ai disabili privi dell’aiuto della famiglia e agevolazioni per privati, enti e associazioni che decidono di stanziare risorse a loro tutela.

Una legge che non è ancora realtà e che certamente ha diversi limiti, ma che rappresenta una speranza reale per realizzare qualcosa di simile all’ “equipe eterna” di cui parlava lo psicanalista Giovanni Carlo Zapparoli, uno dei primi a porsi questa questione nel suo lavoro con i pazienti con gravi disabilità psichiche.

 

Bibliografia

  • Wilgosh (2005). Risultati della ricerca ”Strategie di genitori di figli con disabilità”, (University of Alberta, Canada) presentati nel corso del 5° convegno nazionale di Padova Disabilità, Trattamento, Integrazione (giugno 2005).
  • Song et al., (2016). Cognitive aging in parents of children with disabilities. J Gerontol B Psychol Sci Soc Sci, 71(5):821-30.
  • Sorrentino (2006). Figli disabili. La famiglia di fronte all’handicap. Milano: Raffaello Cortina.
  • Dyches et al., (2012). Positive parenting of children with developmental disabilities: a meta-analysis. Res Dev Disabil, 33(6):2213-20.
  • Maino (2005). La condivisione del dolore in coppie con un figlio disabile”, Saggi Child Development & Disabilities, vol. 31, 1.